-Il passato di Roxanne-

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~ Roxy }
view post Posted on 9/6/2009, 18:01




Questa è la mia fan fiction che parla del tema vampiri. La protagonista, Mary Roxanne Hollest , l'ho creata per un gdr di Twilight. Questo è tutto il suo passato, prima di diventare una vampira.
Spero vi piaccia,
Roxy^^
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>>>Capitolo 1<<<
Sposarsi o no?

Ero seduta pigramente al mio posto, con gli occhi socchiusi e le labbra leggermente aperte. Avevo dormito poco, colpa del caldo di inizio giugno sicuramente.
<<ehi, Roxy! Evita di dormire…>> disse Selene dandomi un colpetto sul fianco.
La guardai torva prima di tornare con lo sguardo davanti a me fisso e immobile sulla professoressa Calligan. “Noia mortale” erano le uniche due parole che mi giravano in testa. C’era il sole, il caldo… cosa aspettavano a chiudere questa maledettissima scuola?
Ma ci dovevo andare ovviamente. Tutte le ragazze di un ceto superiore dovevano almeno fare due anni di liceo.
La fine delle lezioni fu segnata da quell’indistinto suono della campanella che non si sa mai se è per la fine delle lezioni o per una emergenza.
Scesi gli ultimi tre scalini con un balzo e mi girai verso Selene, la mia migliore amica.
<<penso sia stato molto interessante quello che ha detto la professoressa all’ultima ora>>.
Sbadigliai vistosamente guardando il suo vestitino alla moda. Si, perché Selene lo era sempre. Ogni nuovo capo era suo. Tutto quello che riguardava la moda era suo o di sua conoscenza.
<<davvero ti ha interessato?>> esclamai incredula.
<<ovvio>> rispose distratta. Davanti a lei stava passando Gaar, il suo amore segreto.
Alzai un sopracciglio scettica mentre lei si aggiustava il suo vestito rosa pallido arrivato direttamente da qualche casa di moda Europea.
<<non trovi scomodo quel vestito, Nene?>> chiesi guardandola.
<<certo che no!>> disse <<questo è l’ultima moda te lo garantisco>>.
<<quelle cose sembrano davvero scomode>> dissi alzando un dito verso le maniche dell’abito.
<<non sono cose qualsiasi. Si chiamano “spalline”. L’ultima moda, giuro>> sorrise prima di imboccare la strada per casa sua.
Avevamo solo sedici anni, ma ci sentivamo adulte e mature. Secondo Selene poter spendere cifre vertiginose per un vestito era una cosa adulta.
Scossi la testa per allontanare i pensieri mentre mi torturavo una ciocca di capelli.
La conversazione non prese più pieghe interessanti.
<<stasera c’è una festa>> mi disse prima di entrare nel suo villino <<ci sarà molta gente>>.
<<lo sai che non mi piacciono le feste>> ribattei fiacca.
<<siamo negli anni 40, Roxy! Quando ti deciderai che è tempo per le feste? Sedici anni non restano per sempre>>
<<senti, magari a vent’anni>>
<<uh, vent’anni>> sospirò in modo teatrale <<a vent’anni avrò una famiglia>>.
Era quello il suo sogno dopotutto. Sposarsi e avere almeno due figli. Sposarsi entro i vent’anni come da programma. Come sua madre e sua nonna. E anche come mia madre e mia nonna.
<<non sarà troppo presto?>> chiesi sapendo già la risposta.
<<troppo presto? Questa è tradizione>> rispose fantasticando <<io e Gaar siamo fatti per stare insieme>>.
<<questo lo dici tu>> risposi acida
Mi guardò strana, come offesa.
<<scusami>> sussurrai silenziosa <<intendevo dire che forse a lui non piacerebbe sposarsi subito>>.
Selene scosse la testa incredula.
<<tutti vogliono sposarsi e avere figli a quell’età. Tranne te, ovviamente>> disse con dispiacere.
<<non dico che non bisogna sposarsi e che penso sia presto>>
<<cambierai idea quando ti innamorerai, Roxanne. Te lo giuro>>
La guardai strana. Come se la bocca non decidesse se ridere oppure no.
Rimasi neutra.
<<ti aiuterò io a scegliere i vestiti giusti e tutto il resto per la festa. Ci sarà da divertirsi>> esultò con uno sguardo assassino negli occhi. Il solito di quando mi voleva agghindare alla “moda” <<a dopo, Roxy>> squittì sparendo dietro la porta di casa sua.
<< A dopo…>> sussurrai con uno strano senso di terrore per la serata.


>>>Capitolo 2<<<
La festa

Speravo che il momento dell’arrivo di Selene non arrivasse mai. Ero sdraiata sul mio letto in modo poco consono per una ragazza della mia età, quando sentii mia madre che faceva gli onori di casa a Selene.
“No. No. NOOO!!!” pensai sopraffando la voglia di scappare.
Respirai e scesi. Mi aspettava solo un pomeriggio tra trucchi e vestiti… aiuto!
<<roxanne!>> esclamò vedendomi
<<ciao>> disse seria e cupa
<<dai ci divertiremo>>
<<sicuro>> dissi sarcastica
Mia madre dietro di lei sorrideva compiaciuta. L’impeto di scappare torno a galla. Mi morsi un labbro per pensare ad altro.
<<bè saliamo allora!>> cantilenò felice
<<nene… non sono proprio sicura di voler venire>> mi mantenevo a distanza di sicurezza dal bagno sapendo di non avere speranze.
<<e dai. Non fare l’esagerata. Fammi contenta qualche volta>> mi indicò la grossa sedia rossa che aveva posizionato al centro del mio bagno.
Mi sedetti temendo al peggio.
Aprì l’enorme beauty case che si era portata da casa e iniziò a truccarmi.
<<penso che possa bastare…>> disse dopo un’ora e mezza di truccamenti vari.
Lei scoppiò a ridere divertita.
<<ti prego>>
Lei esitò e poi disse:
<<assolutamente no>> e di nuovo il sorriso assassino le spuntò sul volto.
Alzai gli occhi al cielo con una smorfia.
Dopo un tempo incalcolabile ero pronta. Dovevo ammettere che aveva fatto davvero un buon lavoro.
<<direi trucco perfetto. E anche il vestito>> disse scrutandomi
Avevo il trucco così perfetto da far invidia a Helen Hayes. Per non parlare del vestito. Nero aderente con le spalline. Non ero molto d’accordo ma Selene aveva insistito che era l’ultima moda. Mi guardai allo specchio compiaciuta sorridendo. Lei indossava un vestito verde chiaro con dei ricami gialli in fondo. Era davvero molto bella.
Scendemmo le scale emozionate. Io almeno sprizzavo energia da tutti i pori anche se non lo volevo dare a vedere.
<<ehi, siete bellissime!>> esclamò mio fratello, quando passammo davanti al salotto. La mano ferma di mio padre gli assestò uno scappellotto sulla nuca, mentre mia madre esclamava uno scandalizzato “Alexander!”. Sogghignai sotto i baffi.
<<posso sapere almeno dove vanno le signorine?>> chiese sorridendo.
<<ad una festa!>> disse Selene mostrando un sorriso a trentasei denti.
Annuii dietro di lei.
<<roxanne va a una festa?>> disse impallidendo per finta.
<<certo, Alexander. Mi spiace tu non sia stato invitato>> dissi con un ghigno.
<<gentilissime>> sbuffò lui <<dov’è almeno?>>
<<a casa di Clara Rowand>> disse Selene pronta
<<wow. Magari passo a trovarvi>> sussurrò sorridendo con una faccia convincente.
<<neanche per sogno!>> dissi con una risata.
<<ora dovete andare, vero?>> si intromise mia madre.
Salutammo rapidamente tutti e uscimmo.
Una mezz’oretta dopo eravamo davanti a casa di Clara.
Feci un grande respiro.
<<dai, sta tranquilla>> mi sorrise Selene.
Feci un altro respiro un po’ meno lungo perché la porta si aprì e Clara ci aprì con un inchino settecentesco.
Le sorrisi in modo innaturale ed entrai con meno entusiasmo di quando ero uscita da casa mia.
C’era tantissima gente ovunque. Ragazzi appoggiati alle scale che chiacchieravano tranquilli, ragazze che si facevano complimenti sui vestiti, ragazzi e ragazze che ballavano tranquilli al centro del grande salotto su una musica lenta e calma.
Presi una cosa da bere senza neanche chiedere che cosa fosse e iniziai a berla con calma immobile su una sedia molto recente.
<<guarda, Roxanne!>> esclamò Selene accanto a me che vibrava dall’emozione <<c’è Gaar!>>.
<<fantastico>> dissi in tono neutro e impassibile ferma come un’ameba sulla sedia. Ma lei era troppo presa dal guardarlo per accorgersi del piattume che avevo dentro.
<<ma chi è quello con lui?>> dissi rianimandomi all’improvviso.
<<uh, è un nuovo arrivato. Dice di essere arrivato dal nord. Non so da dove esattamente>>.
<<il nome lo sai?>> chiesi cercando di contenere la mia curiosità.
<<si>> rispose corrucciando le sopracciglia <<mi sembra si chiami Humber o Huller… insomma qualcosa così>>.
Guardai di nuovo il ragazzo e mi sembrò che il tempo si fosse fermato. Si stava avvicinando. Aprii la bocca per prendere una boccata di aria fresca, come se da solo il mio cervello non realizzasse che avevo bisogno di ossigeno.
Lo sconosciuto aveva i capelli biondi corti che facevano pendant con i suoi due magnifici occhi verdi smeraldo.
In un attimo lui si giro e mi guardò negli occhi. Io volevo distogliere lo sguardo me non ce la facevo. Disse qualcosa ai suoi amici e si avvicinò a me.
<<salve>> la sua voce risuonò gentile alle mie orecchie.
Annuii immobile.
<<mi concede un ballo?>> mi fece un sorriso malizioso.
Mi alzai sempre in silenzio totale.
Mi prese il fianco e iniziammo a volteggiare nella sala da ballo.
<<come ti chiami, ragazza silenziosa?>> mi chiese, mentre mi faceva girare.
<<roxanne>> risposi con un filo di voce
<<io sono Hunter>> sorrise ancora
Volevo sparire. O forse no.
<<sei nuovo>> dissi. Non era una domanda
<<si sono arrivato qua da Chicago poche settimane fa>>.
Sorrisi un po’ meno tesa.
La musica cessò e ci allontanammo dal palco in silenzio.
<<io abito qui da sempre>> dissi io
<<non ti piacerebbe esplorare un po’ il mondo?>>.
<<si>>
Lui si fece serio per un attimo e poi mi sorrise di nuovo.
<<anche io voglio girare il mondo>>
Lo guardai seria. Cosa diavolo gli importava dei miei desideri?
<<perché sei venuto qui, Hunter?>>
<<per via del lavoro di mio padre>>
Lo guardai alzando un sopracciglio scettica
<<bè anche perché devo fare delle cose qui>>.
<<che genere di cose?>>
Hunter stava per rispondere, ma si morse leggermente il labbro e si alzò.
<<ci vediamo, Roxanne>> mi disse queste parole e si allontanò.
Non so quanto restai immobile sul gradino della scalinata. Almeno tre pezzi di lento.
<<roxy, dov’eri sparita?>> mi chiese a un certo punto Selene facendomi riemergere dai miei pensieri.
<<sono sempre stata qui>> risposi indifferente.
Lei alzò gli occhi al cielo.
<<dov’è quel ragazzo con cui ballavi prima?>>.
<<penso sia andato via>>
<<lo hai fulminato>> sogghignò
<<ma che dici? Abbiamo solo fatto un ballo>>
<<certo, solo un ballo…>>
<<voglio tornare a casa>> dissi decisa, mentre il suo sguardo indugiava su Gaar <<adesso. Ora. Subito>> ripetei per non avere lamentele o risposte.
Si alzò sbuffando e dopo aver salutato gli altri invitati uscimmo.
Dopo metà strada Selene non mi aveva ancora parlato.
<<si può sapere che hai?>> chiesi
<<mi sembrava ti stessi divertendo>>
<<bè…>>
<<quel ragazzo era bello. Perché non sei stata con lui?>>
<<te l’ho già detto. Se ne è andato>> scandii le ultime parole
Lei sbuffò di nuovo
<<li devi trattare bene i ragazzi. Magari era quello giusto>>
<<giusto per cosa?>> dissi con un filo di terrore nella voce.
<<tipo me e Gaar>>
<<non ricominciare con la storia del matrimonio prematuro>>.
Mi fulminò con lo sguardo.
<<a domani, Roxy>> mi sorrise e si allontanò a testa bassa.
Entrai e salii in camera mia senza far rumore.

>>>Capitolo 3<<<
Hunter

Stavo dormendo tranquillamente, quando un raggio di sole entrato dalla finestra mi colpì il volto.
Non doveva essere molto tardi, anche perché più in la di una certa ora non mi avrebbero fatto dormire. Mi misi a sedere sul letto cercando di riprendere coscienza di me stessa e di quello che era successo la notte scorsa. Quegli occhi verdi mi martellavano il cervello come una tortura. Almeno ci avevo parlato. Si, conosceva il mio nome.
“E’ un passo avanti” pensai alzandomi e vestendomi.
Scesi le scale con calma, quando mio fratello mi chiamo dal soggiorno.
<<fatto tardi ieri, eh?>> chiese con quel suo fare investigatorio.
<<neanche tanto tardi>> risposi sbadigliando vistosamente.
Alzò un sopracciglio.
<<che c’è, Alex?>> chiesi girandomi per guardarlo
<<ti sei divertita?>>
<<abbastanza. In fondo tu sai quanto mi piacciono le feste e l’agghindarsi per bene>>.
<<strano>>
<<cosa c’è di strano adesso?>>
<<insomma, sei una femmina. Ti dovrebbe piacere fare queste cose>>
Chiusi gli occhi a fessura e gli lanciai uno sguardo assassino.
<<lascia perdere. Tu non vuoi capire>> esclamai arrabbiata
<<scusa, la femmina modello fa questo genere di cose. Non capisco come Selene ti sopporti>>
<<selene è molto intelligente>> precisai
<<appunto>>
Lo fulminai con lo sguardo e uscii offesa dalla stanza offesa.
<<roxanne!>> mi chiamò più volte
<<che vuoi ancora?>> mi girai pronta a dargli una testata
Mi prese la mano.
<<voglio dire che per i tempi che corrono fuori dai canoni>>
<<un giorno sarà l’uomo ha occuparsi della casa te lo garantisco>>
Sorrise dolcemente
<<voglio solo che tu stia bene>>
Gli sorrisi anche io per un attimo. Gli volevo troppo bene.
La prima parte della mattina trascorse tranquilla in casa. Mio padre leggeva il giornale, mia madre era seduta nel suo solito posto con la sua amica Giudetta e mio fratello suonava il pianoforte. Soltanto io mi aggiravo come un’anima in pena per la casa.
<<va tutto bene, Roxanne?>> chiese mia madre guardandomi
<<tutto bene>> risposi distratta prima di sedermi nella poltrona di pizzo.
Volevo uscire. Ero li a tormentarmi le mani quando si sentì un suono simile a un trillo.
Spalancai gli occhi incredula.
<<il telefono!>> esultò Alexander smettendo improvvisamente di suonare
Mio padre si alzò e andò composto a rispondere.
<<mary Roxanne è per te>> disse in tono formale. Odiavo quando mi chiamavano Mary Roxanne. Era il mio nome di battesimo ma io ero Roxy e basta. Al massimo Roxanne.
<<si?>> dissi prendendo il ricevitore
<<roxanne!>> esclamò dall’altro lato del telefono Selene
<<ciao>>
<<ti va di fare un giro al mercato?>> mi propose. Sicuramente stava sorridendo.
Esitai. Ma perché esitare? Al diavolo!
<<certo>> risposi entusiasta di avere qualcosa da fare.
<<perfetto. Ci vediamo in piazza alle undici>>
<<d’accordo>>
Si sentì un suono simile a un “Tuuu Tuuu” e ciò doveva significare che aveva attaccato. Che invenzione il telefono.
Un ora dopo ero nella piazza del mercato.
<<ehi, Roxanne>> mi salutò Selene
<<ciao>> la salutai a mia volta.
Selene indossava un bellissimo vestitino blu che si intonava ai suoi capelli castani e un grosso cappello della stessa tonalità del vestito. Ma perché lei era sempre perfetta?
Fece un risolino e mi si avvicinò.
<<come stai?>>
<<bene… tu?>>
<<bene, grazie>>
C’era un clima freddo tra noi due.
<<scusa per ieri>> sussurrò incerta
Scossi la testa.
<<scusa tu>>
Lei mi sorrise e fu in quel momento che guardando al di la del suo cappello lo vidi per la seconda volta. I suoi occhi indugiavano sui miei.
Abbassai frettolosa e imbarazzatissima lo sguardo.
<<tutto bene?>> chiese Nene guardandomi strana
<<si, si>> mentii.
Non fece più domande e ci avviammo verso le bancarelle.
Lei mi parlò a lungo di tante cose che non riuscivo a recepire. Ero troppo concentrata a cercarlo con lo sguardo. Guardavo di lato, una collana di perle verdi quando scontrai qualcosa anzi qualcuno.
<<scusami!>> gridai allontanandomi di scatto
Lui inclinò la testa verso destra e mi guardò obliquo.
<<scusa>> farfugliai di nuovo imbarazzata
<<non ti preoccupare, Roxanne>> esclamò ridendo <<tu piuttosto stai bene?>>
<<certo>> cercai di sembrare più convincente possibile.
<<cosa ci fai qui?>>
<<cercavo… Bè ecco sono con Selene>> e la indicai a tre bancarelle di distanza
<<uh… allora non ti disturbo>>
<<ma no che non mi disturbi!>> dissi esagerando con il tono
Fece riinclinare la testa verso destra
<<davvero. Non ci sono problemi>>
<<magari potremmo vederci domani>> mi disse con uno sguardo malizioso.
Vederci? Domani? Si si si si si!
<<va benissimo>> dissi di nuovo troppo emozionata
<<qui alle tre>>
<<alle tre… ci sarò>>
Mi sorrise di nuovo e si confuse tra la folla.

>>> Capitolo 4 <<<
L’appuntamento

Ero troppo emozionata per guardare quell’aggeggio chiamato “televisione” quella mattina. Stavo irrequieta accanto a mio fratello che mi stringeva una mano come per paura che schizzassi fuori dal tetto come un razzo.
Lui e i miei genitori scoppiarono in delle risate brevi e composte. Guardavo lo schermo e vedevo solo delle immagini senza senso.
Sembrava che l’orologio mi facesse un dispetto per quanto era lento. Lento? Ero io che andavo troppo veloce con la mente.
<<penso che potremmo iniziare a mangiare>> disse mia madre spegnendo l’ordigno “televisione”.
Ci alzammo e andammo a mangiare mentre io continuavo a dare occhiate irritate all’ora.
<<tutto apposto?>> mi chiese mio fratello mentre mi sedevo davanti a lui.
Annuii in silenzio mangiando in fretta e scomposta. Per più di una volta gli occhi severi dei miei genitori indugiarono su di me.
Finalmente, non so come fossi riuscita a sopravvivere, arrivarono le tre ed io ero in piazza, vestita bene e anche con un filo di trucco.
<<salve>> esclamò Hunter alle mie spalle
<<hunter!>> sorrisi come un bambino a natale davanti al pacco più grande.
<<allora… come stai?>> disse in tono formale
Feci una smorfia di disappunto.
<<bene>> risposi alzando gli occhi per guardarlo. Era alto almeno dieci centimetri in più di me.
<<anche io>> si guardò in giro <<voglio portarti in un posto speciale>>
<<dove?>>
<<sorpresa>> sussurrò lui.
Io sospettosa più che mai alzai le labbra crucciata.
<<non ti preoccupare>> mi prese per mano e una scossa mentale mi attraversò.
“Uuuuh!!!” pensai imbarazzata “Questo deve essere il colpo di fulmine”. Sorrisi sotto i baffi e lo guardai sorridendo. Anche lui era in imbarazzo ma non mi lasciò la mano.
Camminammo per qualche minuto in silenzio quando lui si fermò davanti a un altro aggeggio nuovo e avveniristico.
<<si chiama automobile>> fece lo spelling dell’ultima parola.
<<non mi fido>>
<<e dai Roxanne. Cos’è tutta questa avversione per la civiltà?>>
<<e’ un pezzo di latta che cammina! Cosa dovrei fargli gli auguri di compleanno?>> dissi stizzita
Lui rise
<<no. Almeno salici. Provala>>
Storsi il naso.
<<roxanne>>
Sospirai salendo.
<<e’ prodotta dalla Mercedes Benz. E’ un coupè>> disse con fare da intenditore <<esistono soltanto 406 modelli di questa macchina>>
Feci una espressione neutra.
<<dai, che è divertente>> disse e con un giro di chiave la scatoletta di latta partì.
<<e’ stata costruita nel 1936…>>
<<allora è anziana!>> esclamai non avendo la più pallida idea di come si calcolava l’età di una macchina. Come i cani? O come gli uomini?
<<sciocca no. E’ relativamente giovane>>
Quel relativamente non mi aveva convinto. Intanto lui continuava ad andare tranquillo su una stradina con l’aria tranquilla e rilassata. Io invece ero avvinghiata al sedile terrorizzata.
<<tranquilla>> ripetè con voce ferma.
Mi guardavo intorno mordendomi un labbro. Però… era bella questa macchina.
<<va veloce>> dissi
<<un giorno ci saranno di più veloci>>
Spalancai gli occhi
<<un giorno non subito. Ci stanno lavorando>>
Mi grattai la testa come per levare l’ansia che mi attanagliava lo stomaco.
Intanto, fuori dal finestrino, c’era un bellissimo paesaggio di montagne e colline. Rimasi li a guardare per tantissimo tempo.
<<ehi, ma dove stiamo andando?>> chiesi dopo mezz’ora di silenzio statico interrotto solo dal rumore del motore.
<<siamo arrivati>> svoltò a destra e spense l’auto.
Uscii dall’abitacolo con le gambe addormentate.
<<ahu…>> sospirai stiracchiandomi
<<non è andata poi così male, no?>> sorrise lui
<<no. No. Però sono stata in ansia tutto il tragitto>>
<<non prenderà fuoco, giuro>> e si mise la mano sul cuore. Scossi la testa sorridendo a mia volta.
Salimmo su una collina solitaria chiacchierando del più e del meno. Stavo dicendo perché secondo me le fotografie erano un’invenzione balzana e inutile quando lui mi zittì con un cenno. Eravamo sulla cima. Si vedeva uno sterminato paesaggio verde delimitato da montagne e altre colline.
<<oh, Hunter…>>
Mi girai per vedere il suo sguardo… e lui stava guardando me.
Lo fissai a mia volta incapace di staccare gli occhi dai suoi. Era un sogno forse. Uno di quei sogni infami e tremendi, che sono bellissimi quando li fai ma quando ti sveglio ti senti triste e vuoto. Ero davvero sveglia? Dovevo averne la prova… l’odore, i colori e anche il mondo in cui guardavo il tutto… ero sveglia, si, ma forse non del tutto.
Si avvicinò a me e mi abbracciò bacandomi dolcemente sui capelli.
Eravamo solo io, lui e il paesaggio mozzafiato. Alzai la testa. I nostri occhi erano a meno di due centimetri. Ormai gli vedevo un occhio solo per quanto era vicino.
Mi avvicinai per essergli completamente attaccata e mi diede un caldo ed elettrizzante bacio sulle mie labbra socchiuse. I nostri respiri andavo all’unisono, come un respiro solo. Mi sembrava che il tempo si fosse fermato.
Non so quanto restammo li a baciarci. Sembrava l’eternità… ma finì anche quel momento così dolce. Perché il nostro bacio non era come uno nei film in cui vedi loro due che corrono e si baciano dopo che lui ha ucciso il mostro è ha salvato lei. No. Questo era bacio vero. Tutte le fantasie sul matrimonio prematuro a vent’anni di Selene sembravano realtà.
“Lo capirai quando ti innamorerai” mi aveva detto pochi giorni prima. Ed era vero.


>>>Capitolo 5<<<
Felicità

Ero rannicchiata sotto le coperte abbracciata al cuscino. Non dormivo ma non ero neanche sveglia. Continuavo a pensare al bacio del giorno prima. Quel romanticissimo bacio. Il mio primo bacio. Questo pensiero mi rigirava per il cervello sbattendo contro la mia mente, come una mosca che vuole uscire dal vetro dove è stata rinchiusa.
Sbadigliai silenziosamente con la testa altrove. Mi alzai infilando i piedi nelle comode ciabatte calde. Il sole mi fece socchiudere gli occhi e barcollare fino all’ombra vicino al tavolino. Scesi le scale con la mente che vagava libera sul mio momento di casta passione.
<<salve>> disse mio fratello formale, mentre gli passavo davanti.
<<ciao, Alex>> risposi.
Lui inclinò la testa a sinistra e poi a destra, facendola oscillare come un pendolo.
<<tutto bene?>> chiese con un’aria preoccupata.
<<certo!>> sorrisi.
Lui continuò a osservarmi, mentre iniziavo a fischiettare.
<<fischietti>> non era una domanda.
Io mi limitai a canticchiare un motivetto famoso.
<<e canticchi>> si fermò e aggiunse <<sei felice>>
Attirò la mia attenzione.
<<si, sono felice. E contenta>>
“e innamorata” pensai con un ghigno sorridente.
<<come mai?>>
<<e’ una colpa?>>
<<non sei mai così allegra. Non è che ti è successo qualcosa?>>
<<no…>> mentii. Perché Alexander era sempre così indagatore?
<<sicura?>>
<<e dai Alex, sorridi>>
Scosse la testa divertito. Era felice per me. Era davvero un buon fratello.
<<se hai bisogno di aiuto ci sono>> disse dopo qualche secondo di silenzio.
<<grazie>>
Si alzò e andò in camera sua silenzioso.
Un paio di ore dopo e svariate canzoncine a mezza bocca uscii.
<<ehi, Roxanne>> esclamò Hunter vedendomi.
<<hunter>> sussurrai contenta.
Mi si avvicinò e mi stampo un bacio sulla guancia. Sentii la guancia prescelta avvampare.
Lui sorrise e mi accarezzò il naso prendendomi per mano.
<<oggi mi rifiuto di salire sulla tua macchina>> dissi alzando un dito.
<<e dai. Altrimenti ci si mette troppo>>
<<ho paura>> confessai con una smorfia
<<questo l’avevo capito>> rise
Corrugai la fronte.
<<ci si mette troppo a fare che?>> chiesi indagatrice.
<<bè, ad andare in giro… cose così>>
<<dove si va oggi allora?>>
<<ti porto a casa mia se ti va>>
Aveva detto proprio quelle parole? Mi stava davvero invitando a casa sua?
<<certamente>> mi soffermai un attimo davanti alla maniglia della Mercedes. Il sole creava strani giochi di luce sulla vernice pallida.
Salimmo e fece quella che si doveva chiamare “retromarcia”.
<<e’ lontana?>> chiesi
<<non tanto>> rispose lui guardando la strada.
Dopo circa un quarto d’ora eravamo davanti a una casa piccola ma molto graziosa.
<<casa dolce casa>> sussurrò lui al mio orecchio aprendo la porta.
La casa non era grande quanto la mia, ma non si poteva dire che fosse piccola. Tutti i mobili erano impeccabilmente in sintonia tra loro e le finestre facevano entrare una luce forte e luminosa. Mi piaceva molto e l’atmosfera trasmetteva qualcosa di positivo, di felice.
<<molto bella>> dissi sfiorando una tenda.
<<sono lieto ti piaccia>> mi si avvicinò mi prese di nuovo per mano.
Io girai un po’ le stanza quando mi fermai di scatto davanti a una porta. Lui fece girare delicatamente la maniglia ed entrammo.
La stanza era piccola ma molto accogliente. In fondo c’era un letto a una piazza e mezza di legno, con delle coperte ricamate sopra. C’era anche un tavolino con sopra ammonticchiati dei fogli sporchi di inchiostro, alcuni pennini e una boccetta di nero di
China ancora sigillata.
<<davvero…>> non riuscivo a trovare le parole giuste per esprimere la bellezza di quella piccola camera.
<<davvero?>> mi sollecitò accarezzandomi il naso.
<<davvero accogliente>> cercai di minimizzare.
Mi spinse gentilmente all’interno e mi fece accomodare sul letto morbidissimo.
Mi guardavo intorno con aria persa e solo quando abbassai lo sguardo mi accorsi che mi stava fissando.
<<tutto bene?>> chiesi, da idiota.
Lui sorrise e mi lanciò un’occhiata adorabile con i suoi occhi verdi smeraldo.
<<bene…>> sospirò
Mi avvicinai di più a lui.
Mi diede un altro bacio e io contraccambiai fremente.
<<roxanne…>> ansimò ma io non mi fermavo
<<roxanne>> ripeté cercando di ricomporsi.
Mi fermai appena a un millimetro da lui.
<<che c’è?>> chiesi quasi delusa.
Fece un altro sospiro.
<<hunter. Cosa c’è che non va?>> ripetei a mia volta allontanandomi un po’
<<sei così bella…>> mi lanciò un’occhiata agonizzante.
<<hunter, cosa vuoi dire?>> pronunciavo il suo nome tremante.
<<e’ solo che… non so... se sarò all’altezza per te>> ammise.
Gli buttai le braccia al collo e profondai sul suo petto, mentre lui mi accarezzava la testa esitante.
<<tu sei perfetto>>
Lui si rilasso appena.
<<sei sicura?>> mi guardò negli occhi. Ricominciai a baciarlo più cauta.
<<voglio stare con te per sempre>> mi sussurrò staccandosi da me leggermente.
<<e sarà così>> aggiunsi io.
<<meglio non dirlo troppo forte>> sorrise e riprese a baciarmi.


>>>Capitolo 6<<<
L’addio

Passavano i mesi ed io ed Hunter eravamo affiatati più che mai. Ci vedevamo tantissimo e ci scambiavamo dolci baci accompagnati da dolci parole sussurrate al tramonto. Ogni secondo con lui era romantico. Mi sembrava, forse stupidamente, che i miei occhi prendessero la forma di cuore ogni volta che sfioravano il suo viso. Era perfetto per e mi completava come io completavo lui. Ci conoscevamo da poco, si, ma l’amore che ci univa ci faceva sentire uniti da sempre. Come due anime gemelle. Ogni volta e che mi sfiorava sentivo la felicità e l’amore invadermi. Quando ero triste lui mi faceva essere felice. Ma il nostro rapporto non era solamente fisico. Passavamo anche intere giornate a parlare di musica, letteratura o anche la nostra vita passata. La sua era davvero strana. Era nato da una famiglia di un ceto sociale medio; il padre era una specie di cercatore di mostri mistici e leggendari. Si definiva un cacciatore di animali oscuri e per questo aveva chiamato Hunter con quel nome: hunter significa cacciatore. E il padre pensava che anche lui si sarebbe unito alla caccia. Ma poi il padre era inspiegabilmente scomparso e lui lo stava cercando. Per questo era venuto in questa città. Non aveva trovato lui ma aveva trovato me. La madre invece era morta anni prima. Hunter era abituato a stare da solo e isolato. Non gli piaceva parlare ne altro.
Io ero la sua prima vera persona con cui potersi aprire e parlare. Mi raccontò tutto ciò una volta che eravamo a casa sua sdraiati sul letto. Fuori faceva freddo perché ormai era gennaio pieno.
<<e così ora sai la storia>> mi disse accarezzandomi i capelli dolcemente
Rimasi senza parole mordendomi leggermente il labbro. Il mio solito gesto di quando non sapevo cosa fare o ero preoccupata.
Lui con la mano levò il mio povero labbro dalla mia stretta dei denti.
<<cosa c’è?>> mi chiese
<<niente… mi dispiace per tuo padre>> lo guardai con gli occhi pieni di compassione. Non sapevo cosa voleva dire non avere più i genitori. Io non so cosa avrei fatto in tal caso.
<<mi sono abituato>> fece spallucce
<<io… non so… tuo padre…>>
<<e’ morto>> disse quelle parole con enfasi
<<non puoi esserne sicuro>> mi girai su un fianco
<<e invece si. Insomma, non ne ho le prove ma lo sento>>
<<sesto senso?>>
<<sesto senso>> acconsentì inclinando la testa.
Mi accarezzò la fronte con le labbra e infilò una mano nella mia maglietta tenendomi stretta a lui in modo gentile.
<<perché allora ti ostini a cercarlo?>>
<<voglio capire perché è morto. Per via di cosa>> si staccò da me e si sedette sul bordo del letto.
<<c’è una cosa che non ti ho detto>> aggiunse dopo qualche minuto di silenzio totale.
<<cosa?>> chiesi preoccupata dalla risposta.
<<io…>>
<<hunter, dimmelo>> disse alzandomi e sedendomi.
Mi prese una mano.
<<hunter, dimmelo>> ripetei cercando di essere convincente.
Lui esitò.
<<hunter Niall, se non me lo dici penserò che una cosa terribile che di sicuro non è e…>> mi fece tacere poggiando un dito sulle mie labbra.
<<e’ terribile. Lo sarà per me come lo è per te>>
Strabuzzai gli occhi e mi morsi il labbro alzandomi e andandomi a sedere sulla sedia di fronte a lui.
<<parla>> lo intimai
Lui deglutì.
Io lo guardai torva.
<<ho trovato delle tracce di mio padre. Penso, anzi ne sono sicuro, si sia spostato più a sud>>
In quel momento il mio cuore si fermò per un istante. Volevo svenire per non sentire il resto che già intuivo.
<devo andare>>
Sentii le lacrime salire agli occhi. Cercai di ricacciarle indietro ma appena aprii bocca il suono che uscì fu solo un gemito spezzato e tremante accompagnato da una cascata di lacrime salate.
<<roxanne, tornerò>>
<<non è così>> sussurrai con la voce roca.
<<roxanne…>>
<<non è così!>> strillai con una voce acuta in preda alla paura per lui <<se tuo padre ci è morto lì perché ci vuoi andare?>>
<<non morirò se è per questo che piangi>> rispose impassibile.
Allungò un amano per asciugarmi la lacrime che mi rigavano il viso ma io mi allontai all’indietro.
<<e’ un addio?>> chiesi
<<no. Tornerò>>
<<lo sai che non è così. Li troverai altre tracce se non morirai anche tu>> dissi riprendendo vagamente il controllo.
<<non essere ridicola>>
<<lo so. Io sono ridicola. Ho pensato seriamente al nostro matrimonio e alla vita insieme. Erano bugie le tue?>>
<<la partenza non implica la separazione>> sentenziò gelido
<<e…>> sentii le lacrime scendere di nuovo <<ti dimenticherai di me? Se ne troverai un’altra>>
<<roxanne, io amo te e basta>>
<<allora resta>>
Lui esitò. I minuti passavano silenziosi e noi eravamo li, uno di fronte all’altro ma eravamo lontani come non mai.
<<devo andare>> furono le sue uniche parole
<<ti aspetterò in eterno>>
<<meglio non dirlo troppo forte>> quella frase l’aveva già detta al nostro primo bacio. Ma che significava?
<<hunter…>> lo abbracciai con gli occhi traboccanti di lacrime per la terza volta.
<<roxanne, tornerò. Te lo prometto>>

>>>Capitolo 7<<<
Depressione

Ero uscita da casa di Hunter con le lacrime che mi rigavano il viso come uno sfregio. Entrai in casa sapendo già le domande dei miei genitori sul pianto e tutto il resto. Invece sentii il rumore della televisione e la voce di mio fratello.
<<finalmente sei tornata, Roxanne!>> esclamò lui senza guardarmi <<stasera i nostri cari genitori sono usciti. Sono partiti per un viaggetto torneranno tra qualche giorno, in realtà>>
Sicuramente si aspettava la mia felicità per la cosa piombargli addosso; invece si sentì solo un mugolo strozzato come risposta.
<<ehi, Roxanne, stai bene?>> si girò a guardarmi.
Mi coprii la faccia con la mano e iniziai a correre al piano di sopra come una ladra.
<<roxanne!>> disse lui richiamandomi e inseguendomi.
Era più veloce di me e mi prese per le spalle bloccandomi di schiena.
<<roxanne…>> sussurrò con voce calma e pacata che lasciava trapelare un po’ di preoccupazione.
Un singhiozzo strozzato. Tutto quello che riuscivo a fare. Mi girò per guardarmi negli occhi ed ebbe un espressione troppo preoccupata per i suoi soliti canoni.
Ricominciai a correre sbattendo la porta della mia stanza con fragore.
Lui sguisciò all’interno senza fare rumore. Io ero sdraiata sul letto con la pancia in giù e piangevo in silenzio.
Mi accarezzò la testa.
<<cosa è successo?>> mi chiese sempre con quel suo tono preoccupato
Scossi la testa
<<non può non essere successo niente se stai così…>> lasciò la frase aleggiare nella stanza.
Un altro singhiozzo nacque dal mio corpo.
<<dimmelo>> disse con un tono che non ammetteva repliche.
<<hunt…>> riuscii a sussurrare a mezza voce.
Si alzò allarmato.
<<ti ha fatto del male?>> spalancò gli occhi mentre io scuotevo la testa.
<<allora?>> mi sollecitò
<<mi ha lasciata>> sprofondai nel pianto totale
Lui si morse leggermente un labbro mentre mi continuava ad accarezzare i capelli.
<<mi dispiace>>
<<anche a me>> ribattei acida con un filo di voce.
<<c’è qualcosa che posso fare?>> chiese cauto
<<no>>
<<ti posso aiutare in qualche modo?>>
<<no>>
La mia risposta a monosillabo era l’unica cosa che mi usciva mentre risprofondavo nel fiume delle lacrime.
<<io…>>
<<non ti devi preoccupare, Alexander>> riuscii, non so come, a dire una frase di cinque parole.
Sentii che si alzava, come stesse camminando sul fuoco.

Passarono tre giorni in cui io non feci assolutamente niente oltre che stare sdraiata a guardare il soffitto piangendo.
Più volte mio fratello era entrato ma io ero sempre rimasta immobile.
La sera del terzo giorno, sentii i miei genitori rincasare.
<<salve Alexander>> li sentii dire composti come sempre
<<mary Roxanne?>> chiese mio padre con un mio filo di disgusto
<<e’ di sopra>> rispose Alex <<penso abbia la febbre o qualcosa di simile. E’ da tre giorni che non mangia>>
Immaginai le facce preoccupate dei miei genitori.
Ero li nel mio letto e ci rimasi per un’altra settimana senza mangiare, bevendo a malapena.
<<così finirai per morire>> mi disse Alex
<<almeno non sentirò più questa fitta al petto>> risposi in un sussurro
Scosse la testa osservandomi.
Passò un’altra settimana e ormai la mia testa era solo un vortice di nebbia.
<<domani dovrai tornare a scuola. Le vacanze con la finta febbre sono finite>> mi disse mio fratello
<<no>> mugolai
<<e’ così e basta>
Il giorno dopo, depressa, arrivai a scuola per miracolo.
<<guarda chi si rivede!>> squittì Selene vedendomi
Alzai la testa silenziosa.
<<e dai, mi sei mancata>>
Mi strinse in un abbraccio soffocante. Passai le ore di lezione immobile sulla sedia, rispondendo con cenni alle chiacchiere inutili e futili di Selene.
Uscimmo e nevicava.
La neve mi ricordava Hunter.
<<guarda che bella la neve!>> esclamò lei
Scossi la testa per annullare i gridolini contenti di tutti. Mi piaceva la neve ma me lo ricordava troppo.
Alzai lo sguardo e vidi dei capelli biondi in fondo alla strada. Un ragazzo mi guardava.
<<hunter!>> strillai correndo
<<roxanne dove vai?>> mi chiese ignara Selene venendomi dietro.
<<hunter!>> ripetei senza fermarmi. Arrivata dall’altro lato della strada però non c’era più nessuno.
<<roxanne, ma cosa i salta in mente?>> urlò lei mettendomi una mano sulla spalla.
Mi girai delusa. Successe poi tutto in un attimo.
Caddi di sicuro perché sentii l’asfalto malfermo sulla mia testa e un grido di Selene. Mi girava la testa e mi sembrava di essere finita in frullatore. Un altro grido e poi buio.

Riaprii gli occhi di colpo mettendomi a sedere. Alexander era li accanto a me nella mia camera che era buia e piena di persone che parlavano. Almeno così mi era sembrato.
<<dove… che…>> formulavo frasi senza senso
<<tranquilla>> mi disse lui abbassandomi la testa sul cuscino con delicatezza.
Vidi i miei genitori in piedi sulla porta con davanti il medico di famiglia che salutava cordiale e usciva.
<<che è successo?>> dissi ricordandomi l’uso delle parole
<<sei stata male>> rispose vago
<<sii più preciso>>
<<hai avuto una convulsione. Bè una serie di convulsioni>>
Spalancai gli occhi. Sensazione del frullatore: convulsioni. Quadrava.
<<ma… perché?>>
<<non lo so>> sussurrò
<<hunter sta arrivando vero?>> chiesi
Lui fece una faccia addolorata.
Mi tornò in mente tutto insieme alla fitta.
<<selene dice che ti sei messa a urlare il suo nome e sei corsa verso l’altro lato della strada. Poi sei caduta in preda alle convulsioni>>
<<l’ho visto>> ribadii
<<lei dice che non c’era nessuno>>
<<non è così>> lo guardai negli occhi <<pensi che abbia anche le allucinazioni?>>
<<bè… Potrebbe essere>>
Spalancai la bocca e gli occhi per lo stupore.
<<non dico che sia così ma è strano>>
Scossi la testa incredula.
<<ti voglio bene, Roxanne. Per te cercherò sempre di fare la cosa giusta>> mi baciò la fronte rapido come per augurarmi un buon riposo.
Mi sdraiai supina e chiusi gli occhi.

Mi svegliai solo a sera. Scesi le scale con fare mesto ed entrai in sala da pranzo.
<<io e tua madre abbiamo alcune cose di cui parlare>> disse mio padre mentre mi sedevo e iniziavo a mangiucchiare qualcosa piano.
Mia madre cominciò:
<<date le circostanze…>> si schiarì la voce per ottenere più attenzione <<… abbiamo deciso di mandarti in un posto più sereno…>>
Alzai lo sguardo.
<<data la tua, chiamiamola “influenza mentale” , io e tuo padre abbiamo deciso di mandarti in una casa di cura tranquilla dove ti faranno superare tutti i tuoi problemi e saranno pronti se mai ti prendesse un altro attacco di convulsioni>>
Strabuzzai gli occhi all’unisono con mio fratello.
<<che cosa?>> urlò lui
<<alexander calmo>> ribadì lei
<<volete mandare Roxanne in un manicomio!>>
<<no, li la cureranno, la faranno stare meglio>>
<<non è vero>>
<<si, Alexander e ti prego di smetterla>>
<<la volete solo togliere di mezzo perché una figlia con allucinazioni e influenza mentale sarebbe una macchia per il vostro lavoro!>> esclamò lui indignato.
Mia madre fece un’espressione incredula e mio padre gli diede uno schiaffo. Alex ci aveva ragione.
<<non sai di cosa parli. Quando Mary Roxanne starà bene tornerà>>
Lui scosse la testa deluso.
<<l’ambiente familiare è più salutare>>
<<ma per favore, Alexander…>>
Lui si alzò di scatto rovesciando il suo piatto e si avvicinò a me prendendomi per un polso.
<<non ve lo permetterò>>
<<ti interessa la sua salute?>>
<<certo>> disse calmandosi un po’
<<allora lei andrà li e basta>>
Lui mi fece alzare con la forza, strattonandomi. Io ero rimasta inebetita per tutta la conversazione, incredula e stupefatta.
<<andiamo, Roxanne>>mi ordinò
<<alex, fermati!>>
Continuava a camminare deciso verso la porta.
<<alex!>> strillai
Si fermò per guardarmi.
<<non ci vorrai andare?>> chiese
<<ovviamente no. Ma questa non è la cosa migliore da fare>> indicai il mio povero polso stretto nella sue mani.
Mi lasciò e scappò in camera sua seguito a ruota da me.
Per tutta la notte sognai soltanto camere chiuse, imbottite e Hunter che appariva e spariva.





>>>Capitolo 8<<<
La decisione

Ero avvinghiata al letto, come se una forza inumana mi trascinasse verso l’alto. Con gli occhi chiusi e la fronte imperlata di sudore che scendeva lentamente bagnandomi i capelli.
Sentii una voce lontana: un sussurro che mi chiamava. Mi rigirai violentemente sempre tenendomi stretta. Non respiravo. Ero in una specie di limbo soffocante.
<<roxanne>> la voce di qualcuno che da lontano mi chiamava.
<<aiuto…>> cercai di dire soffocata.
<<roxanne!>> di nuovo quella voce. Mi sarebbe bastato rompere quella gabbia senza ossigeno per tornare alla realtà.
Aprii gli occhi di colpo e mi sedetti.
<<roxanne!>> esclamò mio fratello seduto al bordo del letto con un’espressione preoccupata.
Il mio battito cardiaco andava quasi velocissimo come se avessi corso per ore.
Ansimavo spaventata dal sogno.
<<cosa…>> riuscii a sussurrare nel respiro affannoso
<<di nuovo quel sogno, credo>> rispose lui
Erano passate due settimane dalla decisione di mandarmi in quella casa di cura e dopo due giorni era iniziato questo incubo, che si ripeteva uguale e identico sempre.
<<sono le 5 del mattino>> rispose Alex anticipando la mia solita domanda.
Mi accarezzò la fronte bagnata.
<<mi dispiace per tutto quello che ti sta accadendo…>> disse guardandomi con compassione.
Sbuffai.
<<tutti fanno i brutti sogni>> ribadii
<<senti, lo sai che non è normale. Non è normale urlare durante la notte il nome di Hunter>>
Strinsi le spalle addolorata nell’anima.
<<dici che sia giusto mandarmi laggiù allora?>>
<<no>>
Mi morsi un labbro. Il mio cuore batteva ancora all’impazzata.
<<non si ferma. Non si calma>> sussurrai toccando il punto da dove si sentivano i battiti.
Sospirò.
<<tu non ci andrai, Roxanne. E’ una promessa>>
<<e come diamine farò?>>
<<scappando>>
Spalancai la bocca.
<<questo mi farà stare meglio>> dissi sarcastica.
<<lo troveremo>>
<<non sai di che stai parlando, Alexander>>
<<no invece. Da quando se ne andato tu stai male>>
<<non è colpa sua>>
<<bè, io lo voglio trovare. Anzi, noi lo troveremo>>
<<ma non so neanche dov’è>>
<<roxanne, se tu ci tenessi veramente forse uno sforzo di memoria lo faresti>> esclamò acido
<<diamine! E’ andato a sud…>>
<<dove di preciso?>>
<<non lo so>>
<<roxanne…?>>
<<non lo so è la verità!>>
<<allora andremo a casa sua a trovare qualche indizio>>
Il solo pensiero mi provocò una stretta al cuore. Non c’ero più tornata in quella casa. Non dal giorno in cui ci eravamo lasciati.

Due ore dopo uscimmo e percorremmo tutta la strada in silenzio. Dopo almeno un’ora la vidi in tutta la sua magnificenza. Ma aveva qualcosa di diverso.
La porta si aprì subito senza tante storie ed entrammo.
La fitta al cuore che prima era stata solo un dolorino non era niente in confronto a quello che provavo ora.
Mi sembrava che un coltello affilato mi fosse stato infilato nel petto e rigirato più volte allargando la ferita.
Le lacrime scesero silenziose senza che io me ne accorgessi.
La casa non era come prima. Era spoglia, vuota. I bei mobili che la adornavano erano stati o spostati o coperti da grandi teli bianchi, ormai impolverati. Era un ambiente spettrale senza più luce e amore.
<<tutto bene?>> chiese Alex guardandomi.
Annuii muta.
Cercammo, per ore credo, in silenzio rotto soltanto dal rumore della carta e dei mobili spostati. Il mio dolore non diminuiva.
<<tombola!>> esclamò mio fratello
Alzai gli occhi annebbiati dalla tristezza.
<<ho trovato qualcosa!>> era felice. Come poteva essere felice?
Le lacrime di irritazione tornarono a galla ma riuscii a scacciarle.
<<miami! Miami!>> cantilenò
<<e’ andato li?>> chiesi con un filo di voce.
<<si>>
<<e’ lontana>>
<<giusto una settimana in treno>>
Alzai le sopracciglia.
<<ti ci porterò. Voglio che tu guarisca>>
Mi sentii improvvisamente contagiata dalla sua contentezza. Li l’avrei ritrovato. Io l’avrei ritrovato.
E quella sensazione di dolore che mi attorcigliava l’anima da mesi smise di pulsare e di farmi male. Forse sarebbe stata solo una sensazione temporanea ma non mi poteva sfuggire.
Uscii decisa dalla casa senza voltarmi.



>>>Capitolo 9<<<
Preparazioni e addii

Stavo seduta sul letto con le gambe incrociate e la testa altrove. Hunter. Avrei rivisto Hunter. Il problema che la città di Miami fosse enorme non mi sfiorava neppure. Buona volontà era l’unica frase che mi vorticava nella mente insieme al suo nome.
La porta della mia camera si aprì lanciando una strana ombra nella penombra della mia camera.
Alexander camminò avanti e sedette accanto a me appoggiandosi al cuscino bianco.
<<allora?>> chiesi uscendo dal mio oblio sonnolento.
<<c’è un treno tra due giorni per Miami>> esclamò lanciandomi un’occhiata vacua.
<<due giorni?>> quasi mi strozzai ripetendo le sue parole.
<<si>> fu l’unica risposta.
Sospirai e sospirai per riprendere la calma. Due giorni. Due giorni! Due giorni per dire addio a tutto quello che avevo sempre avuto; due giorni per dire a Selene che me ne sarei andata. Due giorni per dire addio ai miei genitori.
<<quando l’avremo trovato torneremo. Non è un addio questo>> sussurrò
Alzai un sopracciglio accigliata.
<<torneremo e tutto tornerà come prima>> ripetè
Scossi la testa.
<<pensi che i nostri genitori ci accoglieranno a braccia aperte dopo la nostra fuga? No! Ovviamente no! Saremo dei fuggiaschi. Non ci torneremo mai più qui>> iniziai isterica
<<allora devi fare una scelta, Roxanne>>
<<ma tu non vuoi capire!>> continuai <<se ce ne andiamo non potremo più tornare. E io non voglio che tu perda la tua casa per colpa mia>>
<<non sai di cosa parli. Io me ne sarei andato comunque tra un po’>>
<<tra un po’… non subito>>
<<non fare la stupida, ok? Vuoi andare nel centro di “igiene mentale”?>>
<<no>>
<<allora…>>
<<allora è meglio che io vada da sola>> lo interruppi.
<<no>>
<<alexander…>>
<<basta, Roxanne. Tra due giorni saremo su quel treno e partiremo per la tua guarigione>>
<<e’ insensato>>
<<no, è la cosa giusta>>
Alzai gli occhi al cielo.
Lui si alzò e uscì dalla mia stanza. Avevo due giorni.
Ripercorsi mentalmente quello che dovevo, o più precisamente, volevo fare.
“Selene” fu il mio primo pensiero.
Di scattò mi misi in piedi. Mi vestii rapidamente badando appena all’accostamento dei colori.
Scesi le scale senza di corsa e uscii. Corsi, anche se avrei potuto fare con più calma. Mi sembrava che il tempo mi fosse nemico. Sbuffai silenziosamente scivolando nella strada di casa sua.
<<roxanne!>> esclamò lei aprendomi la porta.
<<selene…>> era dal giorno in cui avevo avuto la convulsione che non la vedevo. I nostri rapporti erano diventati un po’ freddini, forse perché mi considerava una malata di mente.
<<che c’è?>> chiese acida senza tanti complimenti.
<<ti volevo salutare>> sorrisi timorosa.
<<ah>> disse senza scomporsi.
<<solo “ah”?>>
<<bè, sono felice che tu ti vada a curare. Sinceramente ti invidio un po’. Sai ho sempre voluto visitare Houston. Si dice che li ci sia un bellissimo atelier di moda>>
Spalancai la bocca dallo stupore.
<<dannazione, ma cosa dici?>> strillai arrabbiata.
<<stai tranquilla. Capisco che è dura essere malati>>
<<tu pensi che io sia malata?>>
<<bè… sei strana ultimamente>>
<<e tu sei diventata un’idiota!>> sbottai
<<ti auguro le migliori cure, Roxanne>>
Selene fece per chiudere la porta ma la bloccai con un gesto.
<<aspetta. Perché sei diventata così?>>
<<così come?>>
<<così priva di significato>>
Lei storse il naso.
<<forse non ci rivedremo mai più>> sussurrai
<<ma dai. Ti curerai e ci vedremo di nuovo>>
<<non sarà così, Nene. Non il mio futuro>>
Avevo un cattivo presagio davanti a me.
<<no. Ci rivedremo. Stai calma. Adesso devo andare. Ciao, Roxanne>>
Chiuse la porta.
<<addio, Selene>> dissi silenziosa.

Tornai a casa, in depressione.
Salii le scale di camera mia e mi misi a piangere sul letto. Un pianto silenzioso senza singhiozzi. Solo lacrime salate che scendevano senza rumore.
Il giorno dopo Alexander entrò in camera mia sbattendo la porta di mattino presto. Avevo gli occhi incrostati dalle lacrime e i vestiti del giorno prima ancora addosso. Aprì una tenda e fece entrare un sole forte che mi accecò.
<<allora…>> disse sedendosi alla scrivania con un plico di fogli in mano.
Alzai la testa mezza addormentata.
<<hai dormito vestita?>> chiese con un sorrisetto.
Mugugnai qualcosa in risposta.
<<dunque, il treno partirà domani mattina verso le sette e mezza… Dobbiamo fingerci marito e moglie altrimenti la verità potrebbe causare qualche problema…>>
<<cosa?>> esclamai alzandomi con le vertigini.
<<ma certo. Ovviamente lo diremo solo se ce lo chiedono>>
<<non ci crederà nessuno. E poi che senso avrebbe mentire?>>
<<pensi davvero sia usuale vedere due fratelli su un treno senza genitori? Se diciamo che siamo coniugi penseranno che è stato un matrimonio molto prematuro>>
Scossi la testa.
<<siamo troppo simili. Il naso. Abbiamo lo stesso naso. E gli occhi. Uguali>>
<<hai mai sentito parlare di incesto?>>
Spalancai gli occhi.
<<due cugini che si sposano. Copertura perfetta>>
Alex congiunse le mani davanti al petto, come per farsi un applauso.
<<ridicolo>> gli dissi
Alzò le spalle.
<<prendi una valigia. Non troppo ingombrante. Una cosa che puoi trasportare con facilità…>>
<<va bene>>
<<penso sia tutto quello che ci serve>>
<<e i soldi?>>
<<presi dal cassetto di nostro padre e sudati risparmi>>
Sentii la pelle tirare dallo sbalordimento.
<<non l’avrai rubati?>>
<<ma, no. Che vai a pensare>>
Mi alzai sbuffando e corsi verso il bagno scocciata.






>>>Capitolo 10<<<
Il viaggio

Eravamo arrivati alla stazione poco prima della partenza. Per tutto il tragitto non avevo ancora detto una sola parola ma avevo solo pianto. Piangere mi liberava.
<<saliamo>> mi disse Alexander avvicinandosi al treno.
Mi morsi un labbro piena di tristezza.
<<roxanne, non farmelo ripetere. Torneremo. Come quando andavamo dalla zia su a nord. Tornavamo sempre>>
Lui ci credeva veramente. Io no. Sapevo che qualcosa non sarebbe andato. Avevo un presentimento costante. Un presentimento brutto ed inquietante.
Mi girai ancora una volta, mentre la locomotiva sbuffava calore e un forte fischio partì dal controllore.
<<in carrozza!>> Questo urlo si propagava per tutto il binario.
Poco più a destra di me, sulla banchina, c’era una donna giovane, sicuramente di neppure trentacinque anni, che aveva intorno a se due bambini di quattro anni gemelli. Salutavano un uomo smilzo dall’aria giovanile.
<<ci rivedremo presto!>> esclamò la donna guardando lui.
<<certo, Helen. Mi mancherete, bambini>> rispose.
I due bambini si sbracciarono per raggiungere il padre.
<<chelsea, Sean! Venite qui>> li riproverò la mamma dolcemente.
Un altro fischio mi perforò i timpani.
Vidi un uomo, basso e tarchiato sulla cinquantina, che si sbrigava a salire sul treno. Una donna dalle trecce rosse che abbracciava il figlio adolescente. E tante altre persone con le loro storie e i loro piccoli mondi personali.
L’ennesimo fischio mi risvegliò dal mio stato catatonico. Vidi la banchina muoversi sotto i miei occhi, o meglio, il treno si muoveva. Lanciai un ultimo sguardo rapido ai due bambini gemelli di nome Sean e Chelsea. Volevo fosse questo l’ultimo ricordo della mai città.

Sul treno non c’era niente di che da fare. Passai le prime de ore nel mutismo più assoluto seduta nella stessa posizione con lo sguardo fisso fuori dal finestrino.
Alexander sonnecchiava. Io avevo paura di dormire. Anche la notte prima gli incubi non mi avevano dato tregua.
Si risvegliò dal suo dormiveglia.
<<ehi, Roxanne…>> sbadigliò rumorosamente <<dove siamo?>>
<<sono passate solo due ore>>
<<ah>> Si stiracchiò.
Lo scompartimento era piccolo, al massimo ci sarebbero centrate quattro persone comode; sei un po’ strettine.
<<non ti piace proprio viaggiare, eh?>>
Mi lanciò un occhiata.
<<no, non è così>> mi difesi <<soltanto che sono un po’ in ansia>>
<<perché troveremo la tua guarigione?>>
Feci caso al fatto che diceva sempre: “La tua guarigione” o “Il modo per farti stare meglio”. Mai “Troveremo Hunter” o simili.
Scossi la testa tesa.
<<hai ancora tempo per agitarti, comunque. Sennò quando passera questa settimana in treno?>>
Sbuffai tre volte.
<<almeno lo scompartimento è vuoto>>
<<ci sono altre fermate>> gli feci notare
Mi fece il verso ed uscì.
Mi appallottolai su me stessa e chiusi gli occhi.

Passò un giorno nella noia più totale. Il treno andava anche abbastanza veloce ma le fermate erano estenuanti. Se si fermava potevi ripartire anche due ore dopo. Nessuno si faceva mai vivo tranne il controllore.
Durante il giorno chiacchieravamo, sonnecchiavamo e nulla di più. Io stessa ero uscita dal mio scompartimento solo per andare nel bagno più vicino. Per il resto faceva tutto Alex.
Quando scendeva la notte, tutto si faceva un po’ più problematico. Lui dormiva tranquillo nel suo angoletto. Io invece stavo rannicchiata su me stessa e guardavo la notte fuori dal finestrino. Non volevo dormire per il semplice fatto che qualcuno che urla nel cuore della notte da un po’ nell’occhio e noi volevamo passare inosservati.
Ad un certo punto della notte comunque crollavo e la mattina, dopo soltanto tre ore di sonno mi risvegliavo in preda agli spasmi. Nessun urlo, per ora.

Il quinto giorno pensavo di poter impazzire.
<<alla vostra sinistra potete osservare Orlando!>> esclamò Alex con fare da commessa.
Abbozzai un mezzo sorriso.
<<e dai! Deve essere bellissima questa città!>>
Era emozionatissimo. Io l’unica cosa che avevo percepito era stato l’alzamento della temperatura. Davvero troppo caldo per il marzo a cui ero abituata.
<<c’è qualcosa che sto dimenticando…?>> mi chiese fingendo ingenuità.
<<cosa?>> chiesi annoiata con un espressione neutra.
<<auguri!>> urlò contento.
<<auguri per cosa?>> chiesi apatica.
<<sei assurda>>
<<lo so>>
Scosse la testa incredulo.
<<e’ il tuo compleanno! Dannazione, auguri di buon compleanno!>> tornò a essere felice.
Felicità? Mi aveva abbandonato da tempo.
<<ah>> risposi senza simulare contentezza. Avevo rimosso quell’evento.
<<per favore, 17 anni non si compiono tutti i giorni>>
<<fortunatamente…>>
Mi lanciò al volo un pacchettino rosso.
<<non mi avrai fatto un regalo?>>
<<bè in realtà si. E poi comunque è una cosa che penso tu voglia avere accanto a te>>
Storsi il naso dalla curiosità che mi pulsava nella vene e aprii il pacchetto.
Una foto incorniciata, raffigurante me e lui, mi cadde sul grembo.
<<grazie…>> riuscii a mormorare con la voce rotta.
<<prego, Mary Roxanne>> sorrise
<<anche se sono più grande non voglio il nome completo>> sorrisi anche io.
<<ma certo, signorina Hollest>>
Gli lanciai un cuscinetto divertita.

Sonnecchiavo tranquilla quando qualcosa di morbido mi colpì il braccio.
<<miami! Miami!>> scandiva Alex
<<siamo arrivati?>> mugugnai addormentata
<<si! Si! Oh, sono così contento!>>
<<già>>
E solo in quel momento pensai al fatto che a Miami avrei visto una cosa nuova per me, una cosa per cui in fondo era valsa la pena venire, oltre ad Hunter : il mare.


>>>Capitolo 11<<<
Dimenticami

Uscii dalla stazione con le gambe indolenzite, stanchissima e affamata.
Era sera e il cielo era limpido ma senza stelle. Sembrava più che altro una coperta soffocante senza ossigeno. Proprio come nel sogno.
<<credo sia meglio trovare un posto per dormire>> sentenziò Alexander.
<<grande trovata, genio>> lo presi in giro per l’ovvietà della sua frase.
Sbuffò sorridendo e si incamminò per quella che sembrava la stradina che portava al centro, o almeno vicino, città.
Dopo mezz’ora di camminata ininterrotta trovammo un piccolo alberghetto dai prezzi modesti e pulito.
Salii nella piccola stanzetta e mi sdraiai sul letto esausta. Quando riaprii gli occhi era ancora buio. Sicuramente era notte inoltrata. Mi alzai per vedere le stelle ma rimasi delusa. Mi accorsi di non avere più sonno e rapidamente indossai le prime cose che mi capitarono a tiro.
“Sono fuori a fare due passi,
Roxanne”
Scrissi il biglietto veloce e lo appoggiai sul comodino. Almeno non si sarebbe preoccupato. Uscii silenziosa dalla stanza richiudendo la porta dietro di me.
Il mare. Unico obbiettivo. Camminai per una viuzza stretta e malferma rischiando di cadere più volte. La visibilità era ridotta a nulla per via della notte cupa e triste che mi circondava.
Camminai per altro tempo, da sola con i miei pensieri e ad un certo punto sentii un rumore celestiale. Almeno mi sembrò così. Corsi senza fiato verso quell’acqua nera senza sfumature. Sentii qualcosa di morbido sotto ai miei piedi. Qualcosa che non mi agevolava la camminata. Mi levai le scarpe e mi avvicinai al mare. Toccai quelle acque gelide e un grido di contentezza vibrò nel mio petto. Al quel punto mi accorsi di non essere sola.
Mi girai spaventata di scatto ma qualcosa mi bloccò impedendomi di urlare.
<<shhh>> una voce mielosa dal tono familiare mi alitò nell’orecchio.
Da me non uscì altro che un gemito soffocato. Cercai di graffiare la mano del mio aggressore ma rimasi pietrificata. Era gelida, come il vento pungente. Era durissima, come pietra.
<<va tutto bene…>> la voce dal tono familiare parlò ancora alle mie spalle.
Nella notte vidi lo scintillio di qualcosa. Qualcosa che proveniva dall’assalitore. Mi girai quel poco che potevo e rimasi scioccata. A luccicare in quel modo erano stati i suoi denti.
Un altro urlo mi si soffocò in gola.
I suoi denti scintillanti si avvicinarono pericolosamente al mio collo.
Cosa voleva farmi?
Per prima ipotesi pensai mi volesse baciare. Questa per ora era l’unica ipotesi.
Mugolai qualcosa di incomprensibile.
I suoi denti si avvicinarono ancora. Cosa voleva fare? Avevo paura.
Ormai mancava solo un centimetro tra il mio collo e la sua bocca. Smisi di lottare contro la sua mano e mi arresi all’inevitabile.
Lui esitò. Cercai di urlare credendo di prenderlo alla sprovvista. Uscì solo un urlo mozzato.
<<no>> sussurrò lui
Alzai gli occhi e lo guardai. Il buio non mi permetteva di vedere un solo lineamento.
<<no!>> gridò lanciandomi sulla sabbia a metri e metri di distanza.
Stordita dal volo e dalla botta, aprii un occhio. Da lontano lo sentivo urlare ancora di no. Ma cosa no? Stavo morendo? Chiusi gli occhi tramortita. Respirai a fondo. Cercai di alzarmi ma sentii un fitto dolore al braccio. Chiusi gli occhi e il buio mi inghiottì.

Sentivo una presenza accanto a me. Dov’ero? Cercai di aprire gli occhi ma una luce gialla mi stordì a tal punto di girarmi. Più cautamente aprii un occhio e alzai lo sguardo.
<<bentornata, Roxanne>> era gentile. Una voce gentile e melodiosa. Ma l’avrei comunque riconosciuto fra mille. Aprii entrambi gli occhi e lo vidi. Spalancai gli occhi e la bacca dallo stupore.
<<hunter…>> sussurrai con la voce roca. Allungai una mano per toccarlo ma lui si ritrasse.
Lo guardai negli occhi e rimasi folgorata. I suoi capelli biondo scuro adesso erano biondo platino e brillavano quasi di luce propria. Le sue labbra erano più carnose e i denti scintillanti e perfetti. Anche tutto il suo viso non aveva una imperfezione. Sembrava fosse stato appena estratto dalla macchina della bellezza. I suoi occhi però furono a sbalordirmi. Me li ricordavo, verdi smeraldo, vividi e lucenti al contrasto con i capelli. Adesso erano rossi come il sangue, con il contorno nero come la notte prima.
<<hunter…>> avvicinai di nuovo la mia mano alla sua e toccai la pelle. Gelida, come di marmo.
Mi misi a sedere su quello che sembrava un letto improvvisato e mi guardai intorno. Ero in una piccola stanza con una finestra in alto nel lato opposto alla porta. Il mobilio non era gran che. Un piccolo divano, una libreria modesta, un grammofono con dei dischi sopra e il letto sul quale ero seduta io.
<<dove sono… che è successo…>> farfugliai ripensando alla sera prima.
<<ti hanno aggredita>> fu la sua risposta rapida e glaciale, come le mani.
<<ma… come mi hai trovato.. Hunter, cos’hai? Che ti è successo?>> ero preoccupata. Lui era strano.
Contorse le sue labbra perfette in una smorfia di dolore. Si morse leggermente un labbro come indeciso su dire o no qualcosa.
<<hunter…>> Lo presi per mano ma scattò in piedi più rapidamente di qualsiasi altro essere umano.
<<non posso… Roxanne, non posso!>> esclamò mentre gli occhi si arrossavano ancora di più.
<<cosa non puoi?>> chiesi spaventata dalla sua reazione.
<<dirti cos’ho! Stare con te!>>
<<ma cosa dici…>> feci per continuare ma mi fermò parlando per primo.
<<sono successe delle cose. Delle cose più grandi di noi>> parlava così veloce che era difficile capirlo <<sono cambiato. Non sono più l’Hunter Niall che conoscevi tu>>
Assunsi un espressione preoccupata.
<<tu per me sarai sempre tu>>
<<e se non fossi più io?>>
<<non mi avresti salvato ieri>> crucciai lo sguardo
<<e se quello che ti ha aggredita fossi stato io?>>
Spalancai la bocca. Mi aveva aggredita? No. Non poteva essere.
<<perché…?>> chiesi con un filo di voce.
<<e’ quello che sono diventato. E’ la mia natura adesso>>
Sentii le lacrime arrivarmi agli occhi. I minuti passarono silenziosi. Sembrava che lui neanche respirasse.
<<ti amo. Ti amerò per sempre, qualsiasi cosa tu sia o faccia>>
<<forse è meglio che tu guardi in avanti. Non potremmo più stare insieme… E non dire troppo forte quella cosa>>
Le lacrime scesero senza controllo.
<<ma che cosa dici? Ti amo! Voglio stare con te!>>
<<non si può>>
<<perché?>>
<<non si può dire il perchè>>
Piansi.
Hunter era davanti al letto su cui ero seduta e fissava un punto imprecisato della stanza senza guardarmi.
Mi alzai silenziosamente mi diressi verso la porta. Hunter non fece niente per impedirmelo.
<<dimmi se mi ami>> sussurrai con la voce rotta dalle lacrime.
<<dimenticami>> fu l’unica risposta che produsse la sua voce melodiosa.



>>>Capitolo 12<<<
Lerxas

Camminavo come in catalessi in mezzo alle strade calorose di Miami. Doveva essere quasi mezzogiorno e la luce proiettava strane ombre sulla strada. La gente era poca in giro e le poche persone che si azzardavano a mettere il naso fuori casa percorrevano brevi tratti velocemente. Non sapevo dove mi trovavo e ciò neanche mi importava più di tanto. Camminavo con un’unica parola in testa. “Dimenticami”. Era ridicolo infondo. Ci eravamo amati, amati fino alla follia e adesso lui mi lasciava così. Mi liquidava senza importanza. Come poteva essere così crudele…? Senza neanche una spiegazione? Volevo il lieto fine alla mia storia. Già mi vedevo a raccontare ai miei figli la nostra storia, come dopo varie e difficoltose peripezie c’eravamo ritrovati e non ci eravamo più lasciati. Un’esplosione. Il mio cuore infranto.
Una sagoma maschile sbucò dal vicolo più lontano. Mi guardò per un attimo e mi venne di corsa in contro. La mia mente iniziò a fabbricare le risposte più sensate al perché quel tizio mi corresse incontro. Nessuna buona.
Rimasi ferma mordendomi un labbro. Il tipo si avvicinava. Il riverbero del sole sul colore grigio scuro della strada non mi permetteva di vederlo in faccia. Quando ormai era assolutamente troppo vicino iniziai a correre.
<<roxanne!>> esclamò Alexander prendendomi un polso.
Quella voce… era tanto che mancava alle mie orecchie.
<<dov’eri? Oddio, Roxanne, ti ho cercato per tutta Miami quasi. Pensavo le cose peggiori ormai. Ma ti rendi conto? Uscire e non tornare… Insomma è pazzesco…>>.
Misi a tacere la sua collera con un gesto della mano.
<<l’ho visto>> sussurrai.
<<cosa hai visto?>>
<<hu…Hun… Hunter…>> Era difficile pronunciare il suo nome.
<<dove? Dove l’hai visto?>>
<<ero… penso a casa sua>>
<<che cosa vuol dire che “pensi a casa sua”?>>.
<<e che non ne sono sicura. Ero svenuta.>>
Alex sbiancò.
<<da quant’è che cammini>>
<<tanto>>
<<e? Che è successo?>>
<<mi ha lasciata. Mi ha detto di dimenticarlo>>
Le lacrime continuavano a rigarmi il viso.
<<lo ammazzo. Lo uccido>> sentenziò dopo qualche attimo di silenzio.
<<no!>> esclamai.
<<tu dimenticalo. Lui si porterà il tuo ricordo nella tomba>>.
Spalancai gli occhi incredula.
<<da dove sei venuta? Mi ci devi riportare>>
<<non lo so. Non me lo ricordo>>
<<non mentire>>
<<e’ la verità>>
Si rassegnò.
<<dove l’hai incontrato ti ha trovato te lo ricordi almeno?>>.
<<sulla spiaggia>>
Detto questo mi prese per mano e si incamminò verso il mare.


Passarono le ore. Scese il buio sulla spiaggia e Alexander non si era ancora rassegnato ad aspettare.
<<arriverà>> disse al mio millesimo sbuffò.
Ero sdraiata sulla sabbia annoiata. Non volevo stare lì ad aspettarlo per ricevere un’altra delusione. Ripercorsi mentalmente ciò che mi era accaduto la notte prima. Avevo fatto un volo di parecchi metri a pensarci bene. E quei denti che brillavano al buio… Rabbrividii al pensiero.

<<c’è qualcosa!>> esclamò lui dopo un’altra ora.
<<qualcosa?>> Chiesi rialzandomi dal mio dormiveglia. Sbattei le palpebre per vedere meglio, ma tutto ciò che ricevetti fu un colpo verso sulla schiena accompagnato da una risata isterica maschile.
Alexander si alzò in piedi rapido, pronto a fronteggiare chiunque fosse arrivato. Io ero a terra stramazzante con un forte dolore alla testa che non mi faceva capire cosa accedeva.
<<ehi… Che fai il coraggioso davanti alla tua bella?>> chiese la voce che mi aveva colpito con un tono che mi fece rabbrividire.
<<lasciala stare!>> Urlò mio fratello.
<<abbassa la voce!>> lo sgridò l’uomo.
Alex gli diede una spinta e cadde a terra per il contraccolpo. Intanto l’altro era rimasto in piedi senza un minimo di sforzo.
<<bè, pensavo di iniziare dalla ragazza…>> Mi passò una mano tra i capelli e si leccò le labbra <<hai un profumo delizioso…>>.
Lo guardai spaventata e indietreggiai.
<<dato che il tuo ragazzo insiste penso che mi nutrirò un po’ con lui prima. Almeno poi avremo più tempo noi due…>>
Si avvicinò ad Alexander che giaceva a terra tramortito. La luna fece capolino da dietro le nuvole e lo illuminò. L’uomo aveva gli occhi iniettati di sangue e denti affilatissimi. Stava per mordere mio fratello alla gola. Ormai gli era quasi a un centimetro.
Una voce forte e potente tuonò dietro di noi.
<<lerxas, lascia il ragazzo>>
L’uomo, Lerxas dunque, lasciò cadere Alex ai suoi piedi con un tonfo.
<<hunter, sei venuto a rovinarmi la festa?>>.
Hunter? Aveva detto proprio quel nome?
<<non puoi continuare ad uccidere per divertimento gente innocente>>.
<<ma sentilo>> Lerxas rise, con la stessa risata sadica di prima <<tuo padre non era innocente. Si è impicciato ed io l’ho punito>>.
<<peccato che io però sia sopravvissuto>>
<<hai delle capacità in più. Per questo ti ho lasciato vivere. Credo di aver fatto male>>
<<ora hai un nemico>>
Sentivo le due voci rimbombare nella mai testa. Quella di Hunter melodiosa ma dura, quella di Lerxas acuta e terrorizzante.
Mugolai qualcosa cercando di indietreggiare. Sbattei con la schiena contro qualcosa di duro e gelido. Alzai lo sguardo e vidi il mio amore davanti a me. I suoi tratti erano contratti invece che della solita dolcezza.
<<senti, Hunter. Tu prenditi lui e lasciami lei. Così mangi e stai tranquillo>>.
<<voglio lei>> ribatté deciso. Mi prese per un braccio e mi fece alzare.
Sbatacchiai la testa sul suo petto. Era freddo, gelido. Mi guardò negli occhi e trasalì impercettibilmente.
<<non è che vi conoscete?>> chiese Lerxas.
Hunter esitò.
<<non dirmi che è Roxanne>> continuò <<devo dire che hai proprio un bel faccino. Capisco perché urlava il tuo nome, quando si è trasformato>>.
La parola “trasformato” mi trapassò il cervello. Tremai.
<<ti farò un dono, ragazza. Un dono inimmaginabile… Così potrai restare per sempre con lui…>>.
<<no!>> Urlò Hunter mettendosi tra noi due. <<tu non la toccherai>>
<<senti, se voglio fare qualcosa la faccio. E tu sei solo un neonato. Non sai neanche di che parlo>>
Le loro parole erano intrecci di suoni senza senso.
<<trasformato?>> chiesi infine
<<si… Un vampiro per la precisione… Come me>> rispose indifferente.
Mi si avvicinò quel poco che poteva.
<<e se accetti lo diventerai anche tu>>
 
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